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martedì 3 settembre 2019

"Chi ama la propria vita, la perde". In memoria del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Carissimi amici dal "Cuore Alpino", un anno fa come oggi ho scritto un Post dal titolo "Il sorriso dei giusti. In memoria del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa" che, con mia grande sorpresa, ha riscosso un discreto successo in termini di visualizzazioni anche da parte di giovani che in quegli anni ancora dovevano vedere la luce del mondo.
03 settembre 1982 - 03 settembre 2019: 37 anni da uno degli omicidi di mafia più efferati e più detestati dal Popolo Italiano che ama e stima la figura genuina e patriottica del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo.
Sulla vicenda Dalla Chiesa si è detto e scritto tanto. Ci sono persone convinte che sia un omicidio come tanti e altre che sostengono la tesi secondo cui il Generale sia stato lasciato solo dal Governo. Personalmente - non essendo nato al momento della mattanza - mi sono molto documentato e mi sono fatto una personale e suggestiva idea che intendo, quest'oggi, condividere con voi.
L'attentato si è volto in Sicilia, negli Anni'80, a Palermo, in Via Carini.
Per eliminare "la minaccia" Dalla Chiesa "cosa nostra" ha fatto esplodere trenta colpi di kalashnikov (quando ne sarebbe stato più che sufficiente uno) ma, come tutti sappiamo, alla mafia piace fare le cose in grande per mascherare il fatto che ha il cervello piccolo. Soltanto un idiota, infatti, uccide un servitore dello Stato per manifestare pubblicamente la sua delinquenza e la sua vergognosa condotta morale.
Ma torniamo a noi.
Come mai un Generale dell'Arma dei Carabinieri, nato in Provincia di Cuneo, si trova a fare il Prefetto nel capoluogo siculo? Innanzitutto vi è da dire che Carlo Alberto Dalla Chiesa è molto stimato dai vertici dell'Arma per l'ottimo acume investigativo e la grande prontezza operativa dimostrata nella lotta senza quartiere che egli stesso ha condotto contro il terrorismo di matrice comunista a Milano e in molte altre località della Penisola. Palermo in quegli anni è "terra di nessuno" visto che la mafia fa il bello e il cattivo tempo e lo Stato non riesce a tenerle testa. Il Governo è costantemente pressato dagli organi di stampa, dai famigliari delle vittime di mafia, dai commercianti vessati dalle richieste di "pizzo", dai procuratori della Repubblica impegnati nei tribunali siciliani e dai cittadini per bene che desiderano una Sicilia libera e onesta. A Roma non si sa più che cosa fare per arginare e sconfiggere l'annoso problema della mafia. Il Presidente del Consiglio, On. Giovanni Spadolini, decide di nominare a Prefetto di Palermo un militare che ha un curriculum di successi lungo quasi come la Carta Costituzionale: il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Purtroppo, però, il repubblicano Spadolini e il democristiano Virginio Rognoni, Ministro dell'Interno, non hanno fatto i conti con il territorio e la situazione in cui stanno inviando il Generale Dalla Chiesa. Quest'ultimo, infatti, intervistato dal giornalista cuneese Giorgio Bocca, tuona: "Mi mandano a Palermo con gli stessi poteri del Prefetto di Forlì". Questa affermazione fa venire i brividi visto che Dalla Chiesa, sin dal momento della nomina a prefetto, chiede di avere maggiori poteri e libertà decisionali per poter iniziare a fronteggiare "ad armi pari" la mafia e i suoi metodi brutali. A Roma però questa richiesta viene assolutamente ignorata e disattesa con il risultato che il 03 settembre 1982, poco dopo le ore 21:00, mentre il Generale Dalla Chiesa è di rientro a casa con la moglie Emanuela Setti Carraro sulla sua A112 bianca, avviene l'irreparabile. Un kalashnikov tuona per trenta volte trasformando Via Carini in uno scenario degno di una via palestinese sotto intifada. Oltre al Generale e alla sua consorte l'Italia si trova a piangere anche la morte dell'Agente Domenico Russo, di scorta su una seconda autovettura.
Il Cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo, durante l'omelia tenuta in occasione delle esequie di Dalla Chiesa, con voce forte e solenne pronuncia delle parole di sfida alla mafia e di esortazione accorata allo Stato: “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. Questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo!”. Per la prima volta un Principe della Chiesa affronta il tema della criminalità organizzata e alza la voce in difesa dei cittadini per bene e di chi vede nella mafia non un'alleata ma bensì un nemico.
L'attentato e l'omelia - nonché le migliaia di persone presenti al funerale - servono a convincere il Viminale a dare maggiori poteri decisionali e interventistici al Prefetto di Palermo così da permettergli di combattere efficacemente la mafia e il suo disgustoso modo di eludere la legalità.
Per l’omicidio Dalla Chiesa vengono condannati Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Nenè Geraci e Bernardo Brusca. Questi ignobili personaggi - che mi rifiuto di chiamare italiani - infatti, all'epoca dei fatti, sono stati i mandanti della strage e i rettori della cupola di letame meglio conosciuta come "cosa nostra".
Purtroppo, però, per vedere sul banco degli imputati prima e, dietro le sbarre poi, i veri autori materiali della strage bisogna aspettare il 2002 quando la Magistratura Italiana condanna Nino Madonia, Vincenzo Galatolo, Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo.
Carissimi, da fiero Cuneese e da ancor più fiero Italiano, trovo senz'altro necessario scrivere, ogni volta che posso, qualcosa a riguardo di uno degli Italiani più grandi che il nostro Paese abbia mai conosciuto. La bellezza del Tricolore che sventola gagliardo e fiero all'Altare della Patria non sarebbe tale se, a sua rappresentanza, non ci fossero stati grandi, grandissimi, uomini come il Generale dell'Arma Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Il Vangelo recita: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Giovanni 15:13) e dice anche: "Chi ama la propria vita, la perde". (Giovanni 12:25) Se Carlo Alberto Dalla Chiesa, a 37 anni dalla sua scomparsa, continua ad essere oggetto di ricordo e di commemorazione significa che ha saputo amare la Patria più della sua stessa vita che ha donato - e non perso - per i propri amici rappresentati dagli Italiani per bene.
Grazie di cuore per l'affetto e la stima con cui seguite e leggete questo mio blog. Senza di voi i miei scritti non avrebbero valore alcuno.
Viva l'Arma dei Carabinieri, viva l'Italia, onore al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa!
Andrea Elia Rovera
Responsabile della Memoria Storica
del CMCS degli Alpini Giorgio Langella

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